Il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi ha svolto oggi, in un teatro Municipale ‘Romolo Valli’ gremito, un ampio intervento di analisi del lavoro svolto nei suoi due mandati politico-amministrativi, svolti dal 2014 al 2024, ponendo strategie e azioni compiute in relazione con il futuro, con gli scenari nuovi che si presenteranno in Europa, in Italia e nel mondo e che sempre più direttamente incidono sulla realtà delle città e delle comunità.

Durante l’evento, dal titolo Immagina domani – 10 anni di politiche, strategie e azioni per la città del futuro, dopo l’intervento del sindaco, si è svolto un dialogo condotto dal giornalista Francesco Cancellato, direttore responsabile di Fanpage.it, con i contributi di approfondimento di Fabrizio Barca, statistico ed economista, già ministro e oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità; Simonetta Gola, direttrice della Comunicazione di Emergency; Stefano Mancuso, neurobiologo delle piante, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale; Vanessa Roghi, storica dell’educazione.

Di seguito l’intervento integrale del sindaco Luca Vecchi.

“Buongiorno a tutte e a tutti. Un saluto alle autorità civili, militari e religiose, agli invitati, ai tanti cittadini che oggi hanno scelto di essere qui con noi. Grazie davvero di cuore per questa bella risposta di partecipazione, mi dicono siamo oltre mille qui al teatro Municipale Valli: per me, per noi tutti, dopo questi anni di lavoro, tutto ciò ha una grande importanza.

Un grazie particolare a Simonetta Gola, Vanessa Roghi, Fabrizio Barca, Stefano Mancuso e a Francesco Cancellato che condurrà la tavola rotonda per aver accettato di essere qui con noi, per offrire oggi a noi tutti e alla città il loro contributo.

Avvicinandoci al compimento dei dieci anni di questa esperienza, abbiamo pensato che fosse il momento di una riflessione sullo stato dell’arte della nostra città. Ed è con questo scopo che abbiamo ritenuto interessante, ascoltare anche contributi terzi, il punto di vista autorevole di singoli esperti, portatori di esperienze specifiche, per riflettere insieme a noi, non solo di Reggio Emilia, ma più in generale sul ruolo delle città nell’epoca contemporanea.

Non vi nascondo che nell’approssimarmi a scrivere questa relazione ho ripercorso questi dieci anni, vissuti quotidianamente in modo totalizzante, sui problemi, sui progetti, con le persone, nei quartieri, in un viaggio personale e collettivo, straordinario e profondo al tempo stesso, al centro della città. Credo che capirete se vi confesso che non ho la presunzione di consegnarvi una relazione esaustiva. Troverete mancanze, imperfezioni, ma spero possiate cogliere ciò che a noi preme di più, una riflessione sincera, non autocelebrativa, un contributo aperto alla discussione pubblica sul futuro della città, sui suoi punti di forza, sulle criticità, sulle sfide aperte, sulla storia recente ma soprattutto sul suo futuro.

Ho sempre considerato un privilegio, un onore e al tempo stesso una enorme responsabilità essere stato eletto sindaco della mia città. Quando iniziammo a muovere i primi passi, avvertii fin da subito una grande responsabilità verso le persone, la comunità, ma soprattutto verso la nostra storia.
Potrei dirvelo con le parole di un celebre cantautore “la storia non si ferma davvero davanti a un portone… E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)
 quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare….”.

In ogni angolo d’Italia e del mondo in cui ho avuto l’onore di rappresentarvi ho percepito il carico di reputazione, di prestigio, di storia della città. Nel privilegio dell’incontro con il Presidente Sergio Mattarella o con Papa Francesco, nel sedermi una sera nella casa di Graca Machel, sul divano su cui Nelson Mandela passò gli anni della sua ritrovata libertà, nelle parole di tante importanti personalità, nei racconti dei tanti bambini conosciuti nelle scuole d’infanzia di Reggio e del mondo, dal Mozambico a Sarajevo, da Forth Worth a Johannesburg, dalla Palestina a Digione.
Ovunque mi trovassi a rappresentare la città, sempre sono stato preceduto dalla fama e dal rispetto di se stessa che Reggio Emilia ha saputo portare nel mondo.
Avrei voluto condividere con voi quella sensazione magica, quell’orgoglio reggiano che ti fa comprendere la grandezza dell’opera delle generazioni che ti hanno preceduto, una sensazione che non ho mai considerato privata, di soddisfazione e di responsabilità nella consapevolezza di essere lì a rappresentarvi, a rappresentare la storia e il contributo di Reggio Emilia all’Italia repubblicana.

Oltre 2.000 anni fa Marco Emilio Lepido tracciò quella linea. Aveva le idee chiare e dritte, e da Piacenza a Rimini quella strada, la Via Emilia, ha unito comunità, ha fatto nascere città: un grande fattore di connessione tra popoli e comunità, 2.000 anni prima che con la rivoluzione digitale diventassimo tutti connessi.

Si è chiesto lo scrittore reggiano Marco Belpoliti “se siamo discendenti dei Liguri o dei Galli Boi, degli Etruschi o dei Latini, degli Umbri o dei Piceni, chi lo sa? Ci siamo mescolati già a partire da duemila anni fa…” e forse già allora si potevano intravedere i segni antropologici, di una comunità, di una terra, orientata anche nella contemporaneità, ad essere crocevia del dialogo tra tanti diversi popoli, oggi potremmo dire nazionalità. Terra d’incontro, di accoglienza, di resistenza, di solidarietà, dalla Casa di Alcide e dei suoi sette figli ai Campi Rossi, dalle parrocchie ai centri sociali, da ogni piazza ad ogni portone troverai sempre un reggiano pronto ad aprire una porta, a porgere una mano ed offrire aiuto al bisogno.

La città natale di Ludovico Ariosto, dei patrioti Cispadani che fondarono qui una prima Repubblica e il Tricolore. Quella città in cui, tra la fine del 800 e i primi del 900, mettevano le basi le prime cooperative ispirate dall’azione visionaria di Camillo Prampolini, iniziavano a muovere i primi passi storici sindaci socialisti, i primi consigli comunali, la Camera del Lavoro e le organizzazioni sindacali, le prime forme di associazionismo economico e culturale.

La città medaglia d’oro al valore militare, la città dei fratelli Cervi e di Don Pasquino Borghi e di 626 caduti nella resistenza al regime nazifascista, che liberando l’Italia apri’ la strada alla Costituzione, con il contributo fondamentale dei nostri tre costituenti, Nilde Iotti, Giuseppe Dossetti, Meuccio Ruini.

La città degli operai delle Reggiane, capaci di occupare una fabbrica per oltre 300 giorni, delle donne che lottarono per la propria libertà e che all’indomani della fine della guerra smontarono un carro armato a Villa Cella, per vendere i pezzi e con il ricavato costruire una scuola che ancora oggi si chiama Scuola XXV Aprile e da lì continuare nel cammino per costruire gli asili dei propri figli. La città dei tanti imprenditori che non hanno mai smesso di cercare l’innovazione, quella città capace talvolta di opere fuori scala nella storia come nella contemporaneità, la Basilica della Ghiara, questo splendido Teatro, la stazione Mediopadana.

Una città e un sistema di valori da cui ha tratto ispirazione Claudio Abbado, di cui oggi ricordiamo il decennale della scomparsa, trovando forti affinità e ricambiando con un fondamentale contributo musicale, artistico e culturale.
È la terra dei nostri nuovi cittadini arrivati talvolta dal mare, da oltre cento diverse nazionalità, espressione di diverse religioni, è la città dei movimenti per l’espansione dei diritti civili.
La città dei martiri del 7 luglio 1960.

Chiunque si trovi a guidare la città, non potrà mai prescindere dal suo sistema di valori. Jerom Bruner, cittadino onorario, e grande studioso delle nostre scuole d’infanzia nell’arrivare a Reggio racconto’ di aver notato da subito “una rara forma di cortesia e cordialità dei suoi cittadini” che incontriamo ogni giorno per strada, nei bar e nei quartieri. Ma guai a non cogliere quella quotidiana sollecitazione che sfianca i sindaci, che incontri ogni giorno nelle piazze e nei centri sociali, nei mercati e ad ogni spigolo della città, ma che è testimone di un senso di civiltà e giusta preoccupazione per la propria città. Perché ovunque ci sia una buca da coprire, un lampione da sostituire, una pietra da sistemare in una piazza, troverai sempre chi ti fermerà per segnalarti la necessità.
Potremmo dire che ben difficilmente Antonio Gramsci avrebbe potuto definire i reggiani indifferenti…
È tipicamente reggiano quel “pragmatismo visionario” che tiene insieme ogni giorno la voglia di futuro e la concretezza nella quotidianità, la ricerca dell’innovazione e l’anima sociale e solidale.
Quel bisogno di libertà che dopo anni di sottomissione e collocazione periferica sprigiona nella contemporaneità dell’ultimo secolo il meglio della nostra storia è che non avrà mai esitazione, anche dentro un grande teatro come questo, a definirsi antifascista.

All’indomani della fine della seconda guerra mondiale eravamo una delle terre più povere d’Italia, travolti dalle macerie morali e materiali della guerra, ma la città non è mai stata il progetto di una persona sola ma l’esito storico di una grande impresa collettiva.

“Siamo chi siamo siamo arrivati qui come eravamo ” ha scritto e cantato il roker di Correggio Luciano Ligabue.

I dieci anni che abbiamo alle spalle non sono stati un periodo di ordinaria amministrazione.
Abbiamo toccato con mano in modo sempre più evidente la relazione stretta tra grandi fatti di portata globale e ricadute nel tessuto urbano locale.
L’idea che le nostre comunità, le nostre città, possano chiudersi in se stesse in una azione di difesa identitaria è più che mai anacronistica in epoca di globalizzazione.
I cicli economici, le pandemie, le guerre, i processi globali di emigrazione, sono tutti fatti di portata globale che entrano nella nostra quotidianità e l’emergenza diventa ordinaria amministrazione.

La crisi economica che attraversa gli anni tra il 2008 e il 2016 colpisce a fondo il sistema economico e sociale, portando al collasso parti importanti del tessuto industriale.

La vicenda di Aemilia tra il 2015 e il 2018 sottopone alle nostre comunità una sfida inedita per complessità e impone la necessaria reazione e mobilitazione dell’intera comunità nel contrasto alle infiltrazioni della grande criminalità organizzata.

La gestione dell’emergenza sbarchi e la conseguente ricaduta sulle città italiane ci ha accompagnato costantemente raggiungendo in questi ultimi mesi picchi di emergenza inediti.

A partire dal febbraio 2020, il mondo, non di meno Reggio Emilia, si trovano costretti a misurarsi con l’emergenza pandemica.
Voglio cogliere l’occasione ancora una volta per ringraziare tutti i professionisti e gli operatori della sanità e più in generale la mia comunità per l’approccio riflessivo, prudente e responsabile con cui insieme in quella fase abbiamo attraversato la più impegnativa sfida del dopoguerra.

L’uscita dal Covid ci consegna un mondo pieno di emergenze economiche e ambientali, l’esplosione di una inflazione che comprime la qualità della vita delle persone, delle famiglie e il ritorno della guerra con le sue atrocità, le sue vittime innocenti, e un carico di inquietudine che arriva ogni giorno ad ognuno di noi.

Ciò nonostante, difronte a queste grandi complessità, Reggio Emilia non si è mai fermata.

Abbiamo recentemente ricordato i dieci anni dell’inaugurazione della Stazione ad Alta velocità. Partimmo con sei treni, poche centinaia di passeggeri al giorno.
Dieci anni dopo la Mediopadana conta oltre novanta treni e quasi 5000 passeggeri al giorno. Raggiungeremo presto i 2 milioni di passeggeri all’anno.
La vicenda della Stazione è una storia di successo, il simbolo paradigmatico di un cambio di fase della vicenda storica della città.
Dieci anni fa avevamo da poco inaugurato il Tecnopolo, il Parco Innovazione nell’area dell’ex officine Reggiane era poco più di una brillante visione strategica. Il rischio che l’area delle reggiane potesse diventare una grande bomba sociale era reale.
Non avevamo ancora il Core, il Centro Oncologico ed ematologico, dieci anni dopo stiamo accompagnando il cantiere del Mire, il nuovo grande ospedale materno infantile con un investimento di 70 milioni di euro della Regione.
L’università contava la metà degli studenti attuali, la metà dei corsi di laurea, credo pochi in questa sala avrebbero ragionevolmente potuto immaginare la crescita di questi anni, il sostanziale raddoppio della sede reggiana.
Avevamo, dieci anni fa, uno stadio che partendo da una storia gloriosa era drammaticamente finito in un contenzioso fallimentare. Oggi siamo qui a tifare per la Reggiana di nuovo in serie B e a convivere settimanalmente con la Serie A.
Non so in quanti, ragionevolmente, avrebbero potuto scommettere che il grande cantiere della Tangenziale Nord, 190 milioni di euro, la più grande opera pubblica dal dopoguerra sarebbe partito unitamente ad altre opere infrastrutturali come le tangenziali di Fogliano e Rivalta.

Risale al 1981 l’idea che al Campovolo nasca una grande Arena della musica, più volte evocata all’indomani dei grandi concerti. Attraverso una grande operazione pubblico privato RCF Arena è una delle più rilevanti novità di questi anni, segna l’istituzione di una dotazione infrastrutturale per i grandi concerti musicali unica nel suo genere e di assoluto rilievo internazionale.

Le piazze. Piazza Gioberti, Piazza Roversi, Piazza San Prospero. Viale Umberto, i nuovi Chiostri di San Pietro, il Mauriziano e tra poche settimane il completamento della Reggia di Rivalta e del suo grande parco.

Sono soltanto alcune dei grandi cambiamenti di questi anni, ancorché di portata strutturale, a cui potremmo e dovremmo aggiungere il lavoro quotidiano sulla cura della città, dei quartieri, sui servizi.

Cambiamenti che hanno progressivamente contribuito a cambiare il volto della nostra città a determinare oggettivamente una crescita di complessità urbana, che porta naturalmente con sé un accrescimento delle funzioni, delle opportunità, e inevitabilmente anche l’emergere di nuove problematiche di nuove contraddizioni urbane.

Questo cambiamento è stato politicamente guidato in ogni suo passaggio e realizzato in ogni ambito insieme alla città, nella collaborazione tra istituzioni e cittadini, nell’incontro tra pubblico e privato, nella relazione costante con i corpi intermedi, con le organizzazioni economiche e sindacali, con l’università e tutti gli attori della città.

Giungerà a compimento tra pochi mesi l’esperienza amministrativa di un sindaco e della sua amministrazione, ma la città non è alla fine di un’epoca: siamo anzi nel pieno di un processo storico e realizzativo di una grande transizione del nostro modello di sviluppo.

E tutto questo accade mentre il mondo contemporaneo è attraversato dalle tre grandi transizioni ecologiche, digitali e demografiche.

Reggio Emilia non può non vedere che questo cambiamento corre verso il futuro, ha una sua inerzia destinata a generare effetti nei prossimi anni.
Aggiungo, a dimostrazione di questo, che l’epoca del Pnrr ci ha portato ad attrarre enormi risorse di investimento, a sviluppare progetti di opere che andranno a compimento nei prossimi tre-cinque anni.
Un parco progetti da 500 milioni di euro è la grande eredità progettuale che consegniamo al futuro di questa città.

La Città del Capitale sociale e stata ogni giorno al centro delle nostre priorità.
Da sempre Reggio Emilia si caratterizza per la sua capacità di mettere al centro le persone e le risposte ai bisogni sociali.
Una comunità coesa è garanzia di un futuro più sicuro.
Le domande di progresso sui diritti civili che da sempre vedono la città all’avanguardia, i diritti di cittadinanza dei ragazzi nati qui ma non ancora riconosciuti dal nostro paese, i diritti umani di chi arriva dall’Africa, dal mare, dalla disperazione e pone alle democrazie una grande domanda di dignità, il diritto umano delle donne che vivono in un paese dove ogni tre giorni si assiste ad un femminicidio. Non sono richieste di gentili concessioni, sono domande di civiltà, che avanzano il bisogno di una visione progressiva della persona.
Non dimenticherò mai l’emozione di quel giorno in cui in Sala del Tricolore celebrammo la prima unione civile. Il giorno dopo l’approvazione di una legge che colmava un grave ritardo di questo paese.

Noi non ci siamo mai voltati dall’altra parte, ma sulla cultura dei diritti abbiamo fatto scelte, accompagnato progetti e realizzazioni con l’aspirazione ad essere sempre avanguardia del movimento.
È la cultura dei diritti il presupposto della nascita del grande modello di welfare di questa città.

Il modello di Welfare reggiano, potremmo dire emiliano, ma certamente non italiano, ha una caratteristica distintiva inequivocabile .
La forza contestuale di un sistema pubblico che continua ad esercitare un ruolo importante e un privato sociale, della cooperazione sociale, del terzo settore fino al grande protagonismo civico del volontariato.

È cresciuto il pubblico, ma è cresciuto anche il Terzo settore.

Quel modello è una risorsa distintiva, forse unica in Italia, sia nella condivisione strategica a monte, sia nella quotidiana capacità di cercare insieme collaborazione, cooperazione e coprogettazione: un punto di riferimento dell’amministrare e del vivere di questa città.

Quasi 8.000 famiglie in carico ai Servizi sociali, 1.000 in più in dieci anni. Oltre 3.000 minori. Siamo passati in dieci anni da 40 a 260 minori stranieri non accompagnati. Oltre 3.600 anziani seguiti dai servizi. Nell’arco di due mandati amministrativi l’investimento sulla gestione della non autosufficienza è cresciuto di 6 milioni di euro e l’investimento annuo sul capitale sociale è di oltre 10 milioni di euro in più .

La città del capitale sociale in questi anni è cresciuta, ma abbiamo l’obbligo di non chiudere gli occhi difronte ad una società ogni giorno più fragile, e difronte ad una grande domanda di protezione.

In tutto questo emerge un rischio che interroga Reggio Emilia, ma che interroga io credo più in generale l’Italia intera, l’Europa, e il mondo contemporaneo: la difficoltà oggettiva delle democrazie contemporanee, anche per mancanza di volontà politica, di farsi carico dei bisogni dei più deboli, di dare risposte strutturali di riduzione delle diseguaglianze.

Tocchiamo con mano ogni giorno l’emergere preoccupante di una tentazione collettiva, scambiare sicurezza con libertà.
In buona sostanza una restrizione del perimetro democratico e un accrescimento del bisogno di autorità come principio direttore e regolatore delle comunità urbane.
Tenere viva la partecipazione ed il protagonismo civico diventa perciò uno degli ingredienti fondamentali di cui devono continuare a nutrirsi le comunità ed è in questo senso che promuovendo gli accordi di cittadinanza, l’esperienza delle consulte di quartiere ed altre esperienze partecipative abbiamo voluto far crescere ogni forma di protagonismo civico e di impegno per la comunità.
Tante delle domande di sicurezza, anche urbana che attraversano le nostre città, nascono dall’inquietudine sociale che attraversa il nostro tempo .
E sarebbe oltremodo sbagliato se non cogliessimo che questa grande questione sociale deve anzitutto essere assunta come una grande questione nazionale.

Pensavamo di avere compreso che l’uscita dal Covid ci obbligasse ad investire maggiormente sulla sanità e sul diritto alla salute. Constatiamo un governo che opera ogni giorno per demolire il servizio sanitario nazionale.
E in una terra che vanta storicamente standard elevati di qualità sanitaria vogliamo qui ribadire che ci opporremo e ci mobiliteremo contro il tentativo di colpire una delle più grandi conquiste di civiltà di questo paese. Il diritto di tutti, poveri e ricchi, di essere curati nello stesso modo.

L’assenza in questo paese di un discorso di verità sul tema dell’immigrazione, porta le città italiane a misurarsi prive di risorse e strumenti con una emergenza che diventa fatto strutturale.
Lo abbiamo detto più volte accoglienza, integrazione e sicurezza sono facce della stessa medaglia. O coesistono insieme o diversamente si altera l’equilibrio democratico e la convivenza civile.
Programmare l’immigrazione significa aiutare le persone nella loro vita, il sistema economico a intercettare manodopera. Favorire un processo di integrazione, significa fare ciò che oggi noi non possiamo fare, avviare al lavoro e avviare alla scuola. La programmazione di una emigrazione regolare svuota i barconi dei trafficanti e garantisce più sicurezza alle nostre città.
Per una volta il governo provi ad ascoltare i sindaci può essergli utile per superare il disastro palese nella gestione degli sbarchi.

In una città con standard elevati nella gestione dei servizi non possiamo sederci sugli allori.

Vorremmo a tal fine consegnare alcune suggestioni strategiche che pensiamo necessarie sul futuro della città.

Continuare un investimento importante sulla popolazione anziana perché siamo nel secolo dell’invecchiamento.
Affrontare le manifestazioni crescenti di disagio giovanile. Anche nella città dei migliori servizi educativi non possiamo lasciare indietro nessun ragazzo.
Le Case della comunità, nei quartieri, devono rappresentare l’avamposto della medicina territoriale e dell’integrazione socio sanitaria.
Ma soprattutto credo vi sia una priorità ineludibile sul futuro, per Reggio Emilia e per l’Italia. Un grande piano straordinario per la casa.
La crescita del costo del denaro e il fallimento del mercato dell’affitto nel corrispondere a molteplici bisogni sociali, l’assenza di una politica nazionale di sostegno al diritto all’abitare corre il rischio che la questione casa diventi un detonatore e moltiplicatore di nuove diseguaglianze sociali.
Serve un grande patto tra il pubblico e il privato per corrispondere in modo innovativo e avanzato a questa grande domanda sociale.

Una città evidentemente cresciuta nella sua complessità vince sfide inedite e palesa nuove criticità, nuove fragilità. A volte sono fragilità che toccano le persone, altre volte toccano singoli contesti.
Le difficoltà che investono la rete commerciale del centro storico vanno affrontate con il contributo di tutti. Compete al Comune per quanto di sua competenza, compete anche al privato ritrovare la voglia di un investimento di fiducia. Si provi ad uscire da una costante competizione polemica su chi sia il maggior responsabile di tutto questo per studiare insieme un patto forte tra pubblico e privato in cui costruire le ragioni del rilancio e del successo, credendoci insieme.

Abbiamo colto con determinazione la principale sfida contemporanea delle città e del mondo intero. La sfida della transizione ecologica ed energetica e la crescita di una cultura della sostenibilità. 
La città della transizione ecologica ed energetica si è dotata di un nuovo piano urbanistico, di forte impronta ecologica, che ha aperto la strada ad una nuova cultura della difesa del consumo del suolo, che ha sposato in pieno la visione strategica della rigenerazione urbana sul futuro della città. 
Le politiche sui beni comuni, rifiuti e acqua in particolare, sono state oggetto di un forte ripensamento e di radicali innovazioni.

In poco più di dieci anni anni abbiamo spento un vecchio termovalorizzatore, non è abbiamo realizzato uno nuovo, abbiamo portato invece la raccolta differenziata dal 50% al 85% estendendo il porta porta all’intera città e ci siamo dotati di un impianto di avanguardia per trasformare il rifiuto organico in energia rinnovabile.
È un risultato di cui andiamo orgogliosi perché per farlo non è servita solo una chiara visione politica, ma soprattutto una partecipazione ed una adesione convinta dei cittadini.
È di questi giorni l’avvio di un nuovo modello di gestione e servizio idrico che rilancia la forte centralità pubblica nella proprietà delle reti e nel governo del processo industriale.

L’ingresso nella riserva Mab Unesco dell’Appennino è una grande opportuntà per il futuro.
Quasi 100.000 nuovi alberi sono stati messi a dimora degli ultimi cinque anni.
Dotandoci di un rinnovato BiciPlan abbiamo accompagnato l’ampliamento ulteriore della rete ciclabile più estesa d’Italia, passando da 200 a 230 chilometri in dieci anni.

L’obiettivo ambizioso che Istituzioni, imprese, cittadini dovrebbero darsi deve essere quello di anticipare di 10 anni, al 2040, il rispetto degli impegni europei sulla neutralità carbonica, attraverso, soprattutto, un grande piano di efficientamento energetico per la produzione di energia da fonti rinnovabili
Ed in questo senso, così come già accaduto in altri ambiti, dobbiamo chiedere alla nostra multiutlity di essere al nostro fianco in modo determinante in questa sfida.
Sulla Mobilità sostenibile consegniamo alla città un progetto a cui abbiamo lavorato in questi anni con il Ministero e che credo la città non debba abbandonare. La Tranvia elettrica da sud a nord, da Rivalta a Mancasale.

Abbiamo dato una svolta nelle politiche pubbliche di sostenibilità senza che ciò impedisse la crescita dell’innovazione del sistema economico. Ovvero, abbiamo dimostrato che innovazione e sostenibilità non sono incompatibili.

Coesione sociale e sostenibilità sono i presupposti fondamentali per sviluppare innovazione nell’economia e nel lavoro.

E in questo senso non può sfuggire il modo in cui negli anni recenti è progressivamente cambiato il rapporto tra economia e società.
La crisi economica del decennio scorso mise in discussione un modello di sviluppo consolidato per decenni. Corremmo il rischio,in quella fase, di avvitarci in un preoccupante declino territoriale.
Dobbiamo leggere con attenzione quanto accaduto nella trasformazione progressiva inarrestabile del modello economico reggiano di questi dieci anni.
Il più basso tasso di disoccupazione d’Italia, 3,5%, secondo solo a Bolzano (che è però una realtà amministrativa autonoma, ndr) una delle province con il più alto volume di export, quasi il 70% del Pil complessivo.
Siamo parte integrante di un sistema economico e territoriale che da Bologna a Piacenza esprime livelli di competitività di portata europea, salari tra i più alti d’Italia, ma in cui convivono dinamiche di innovazione economica significativa unitamente a ampi settori di precarietà del lavoro, talvolta anche in ambito pubblico.

La polarizzazione degli effetti dell’innovazione tra chi corre più forte e chi rischia di restare indietro nell’economia e nel lavoro è un fatto di cui credo tutti Istituzioni, imprese, sindacati, agenzie educative e formative devono occuparsi. Darsi una strategia e offrire soluzioni a questa sfida credo sia una delle principali urgenze, per continuare ad essere un territorio attrattivo e tenere al centro la qualità del lavoro.

C’è un luogo, un progetto, un percorso in cui abbiamo oggettivamente rappresentato una certa idea di innovazione.
In quell’area delle ex officine meccaniche reggiane, 250.000 metri quadrati di area industriale totalmente dismessa, simbolicamente rappresentativa della fine della grande fabbrica fordista del Novecento.
È lì che nasce il Parco Innovazione, che nasce un nuovo Tecnopolo al fianco di diverse importanti aziende locali.
È in quel contesto in cui impresa, produzione, ricerca e innovazione stanno in relazione con l’università e nella loro interazione contribuiscono a generare trasferimento tecnologico e di sapere al servizio dell’intero territorio.
Quel parco tecnologico in cui si intrecciano saperi scientifici ed umanistici, in cui il lavoro delle imprese e dei centri di ricerca si integra con la riqualificazione dello spazio pubblico, con la valorizzazione di nuovi impianti sportivi, con l’implementazione di attività nel tempo libero anche di carattere musicale.
È stata una emozione fortissima dedicare talvolta il tempo a leggere le cartelle con le storie dei tanti operai di quella fabbrica, immaginarli dentro quei capannoni oggi riqualificati, ripensare a quei cinque operai che vennero uccisi in quel 28 luglio 1943 perché stavamo manifestando per la fine della guerra.

Abbiamo visto la passione delle imprese, l’orgoglio degli operai, l’interesse degli storici, l’emozione dei giovani, lì dove tutto è nato, lì dove ancora e depositata l’anima profonda della città, li, insieme a tutta la comunità, abbiamo rappresentato l’idea di una nuova città che sta nascendo.
Abbiamo bisogno di continuare questo lavoro insieme al mondo economico e al mondo del lavoro.

Dobbiamo continuare a rafforzare i legami e le reti territoriali con altre città e, nella prospettiva di Area vasta, proseguire il lavoro sulle principali sfide infrastrutturali, a partire dalla Via Emilia bis, che lo Stato deve finanziare; accrescere il profilo internazionale della città e soprattutto continuare ad assecondare la spinta alla crescita della nostra Università.
È questa la strada per giocare al meglio la sfida dell’attrattività di investimenti, di talenti, di sapere.
Abbiamo raddoppiato l’università in questi 10 anni dobbiamo darci l’obiettivo di crescere ancora e di raddoppiare l’università anche nei prossimi 10 anni.

La città della cultura non ha mai allentato il suo protagonismo. La crescita di Fotografia Europea che giunge fino al premio di miglior festival di fotografia al mondo.

I riconoscimenti ottenuti dalla Fondazione della danza, il valore dei nostri teatri, il ruolo di palazzo Magnani, la garanzia delle nostre biblioteche, il Rosebud e soprattutto un Nuovo Museo pensato, progettato e realizzato con anni di lavoro. Le istituzioni e le fondazioni culturali, i tanti operatori culturali della nostra città, i nuovi festival Emergency, Internazionale Kids, Omi Festival, l’impatto dell’Arena della musica sulla città. La cultura ha arricchito la città, l’ha aiutata ogni giorno a riflettere e a misurarsi con la complessità della contemporaneità. È stata come un grande archivio di beni comuni capace di custodire memoria e stimolare sperimentazione aprendosi a tutti i cittadini in senso molto democratico. La cultura qui non è mai stata una vocazione specialistica, ma ha saputo essere sperimentazione, basti soltanto il grande lavoro sul welfare culturale, nell’arte pubblica, nell’incontro e mescolanza di linguaggi. È dal ruolo della cultura che abbiamo tratto lo stimolo a sentici sempre più città del contemporaneo, città aperta ed europea.

È la qualità del capitale umano la vera cifra distintiva di una comunità.
È in quella dimensione che ogni giorno il sistema delle competenze, delle abilità, delle capacità relazionali nella fitta rete delle relazioni interpersonali genera l’incontro virtuoso tra istituzioni e cittadini, tra pubblico e privato generando idee, sviluppando creatività e innovazione aiutando una comunità ad affrontare la complessità e posizionado il proprio livello di civiltà.

Reggio Emilia è storicamente nota in Italia e nel mondo come la città dell’educazione.
Siamo l’unica città, forse al mondo, che può iniziare a raccontare se stessa a partire dal diritto all’educazione dei bambini fin dalla nascita. È una visione umanistica decisiva che ci ha nel tempo accompagnato nella costruzione di una cultura dell’infanzia, ma che ci ha abituati a comprendere che lo sviluppo delle competenze lungo l’intero arco della vita, dallo 0-6 allo 0-99 sia ciò su cui ogni giorno dobbiamo sentirci impegnati.

In un’epoca di crisi demografica, di calo delle nascite anche a Reggio Emilia, noi abbiamo scelto di crescere l’investimento sull’infanzia e di creare oltre 200 nuovi posti ai nidi.
Il nido a Reggio Emilia, grazie anche all’abbattimento delle rette, è diventato progressivamente un diritto sostenibile e accessibile in senso universale.
Passando dal 39% al 60% di scolarizzazione. L’Italia è al 25%.
Dobbiamo darci un obiettivo concreto, ambizioso, audace forse unico in Europa, ma abbiamo il dovere di partire per primi.
Puntare alla piena scolarizzazione di tutti i bambini nella fascia 0-3.
Ma più in generale continuare a considerare l’educazione e la scuola a tutti i livelli come abbiamo fatto in questi anni,

dai bambini all’università, dalle scuole ai centri di formazione come il punto di partenza di ogni idea, di ogni progetto e strategia sul futuro.

Desidero ringraziare, avviandomi alle conclusioni, le mie due Giunte, per la lealtà e la collaborazione in questi dieci anni di lavoro. La mia gratitudine va anche a tutti i consiglieri comunali di maggioranza e minoranza; ai dipendenti del Comune e degli organismi partecipati. Mi è chiara l’unitarietà di un lavoro fatto insieme. E un grazie grande alla mia famiglia: a mia moglie e mio figlio.

Vi lascio un’ultima riflessione sulla città.
Reggio Emilia è una città attraversata ogni giorno da bisogni di innovazione che si contrappongono a istinti conservativi.
Ogni giorno l’aspirazione ad un profilo europeo, internazionale interagisce con la tentazione alla chiusura.
L’identità locale si misura con la visione globale.
Un primordiale istinto abitudinario può mostrare diffidenza al cambiamento.
Un forte senso civico fa emergere il livello di civiltà nei momenti più complessi.
Questa dialettica non è speculare agli schieramenti politici, ma è una oscillazione che ogni giorno caratterizza la città.
Fare il sindaco è stata un’esperienza straordinaria. Non è un impegno politico che puoi vivere animato dalla sola ambizione. Fare il sindaco richiede una passione innata per le persone, una predisposizione a farsi carico dei problemi e delle critiche, degli umori e dei punti di vista di 170.000 persone.

Puoi vivere questa esperienza solo se animato da una vocazione laica verso la tua città, una sincera passione ad occuparti dei problemi della città.
Fare il sindaco implica necessariamente un coinvolgimento totalizzante, ma nello stesso tempo, la necessaria distanza, senza la quale ogni singola decisione può maturare in modo sbagliato.
Incontri ogni giorno storie, vicende umane a volte incredibili e inaspettate che ti cambiano la vita. Ne potrei citare tante come quando lo staff di Officina educativa mi porto’ all’apertura del primo giorno di scuola, alla primaria Marco Polo, e venni accolto dalla mia maestra delle elementari che non vedevo da oltre 35 anni, e che mi ordino’ di sedermi sulla seggiolina a fianco ai suoi bambini, o quando dovetti telefonare al Partigiano Brenno, nell’aprile del 2020, per convincerlo a rispettare le prescrizioni Covid, a restare a casa, rinunciando per la prima volta nella vita a portare un fiore al monumento dei caduti il 25 aprile.
Quando inizi questa esperienza, pensi di cambiare una città, strada facendo ti accorgi che è la città che ha cambiato te. Sei chiamato ogni giorno ad accompagnare una città e in una certa misura sei tenuto a farti accompagnare.
Io ho cercato ogni giorno di prendermi cura di voi, ma voi ogni giorno vi siete presi cura di me. Siete stati una grande famiglia: anche nei momenti difficili, ho percepito chiaramente che la città era con noi.

Noi abbiamo immaginato una città aperta all’innovazione, contemporanea ed europea, ecologicamente avanzata, attenta alle ragioni delle persone, di tutte le persone, consapevole della propria storia.

Tante volte si pensa, a torto o a ragione, che molto di ciò che accade sia frutto di una solitudine decisionale.
In realtà tutto ciò che accade è spesso l’esito di un insieme.
Insieme abbiamo fatto tanta strada, come ha scritto e cantato Zucchero “Impareremo a camminare, Per mano insieme a camminare…”
Insieme ci siamo capiti, insieme ci siamo scontrati.
Insieme. Ecco se dovessi rappresentare lo spirito di questi anni direi insieme. Insieme nelle cose giuste e negli errori.
Perché è insieme che abbiamo affrontato il Covid in quelle dirette pazzesche, è insieme alla città che abbiamo fatto crescere Fotografia Europea, è insieme al mondo della scuola che abbiamo inventato la Scuola Diffusa, o Città senza barriere, insieme a tutti i reggiani abbiamo portato il porta porta nelle case di tutti, insieme a diecimila fotografie dei reggiani è arrivato il Pavone ai Musei. Insieme a 1.500 studenti, al Vescovo, all’Imam, al Rabbino abbiamo attraversato il cancello di Auschwitz in uno storico viaggio della memoria. Ed eravamo la non a caso. Eravamo là perché la città era pronta per quel passo di dialogo e di pace. Insieme abbiamo accolto i ragazzi da tutto il mondo per i Giochi del Tricolore.
Insieme a tanti attori è partita l’operazione Parco Innovazione, l’Arena. Insieme a centinaia di reggiani, solo qui poteva accadere, abbiamo abbracciato un ospedale in girotondo il giorno dell’inaugurazione. Insieme a migliaia di persone abbiamo riempito Piazza Prampolini il 25 novembre contro la violenza sulle donne, insieme ai bambini ogni giorno apriamo le scuole. Insieme dentro una grande esperienza collettiva, ognuno facendo la propria parte, consapevoli della storia che rappresentiamo e del futuro che vogliamo.
Come ha scritto Gianni Rodari, che fu molto amico di Reggio Emilia: “In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio”.

Auguro alla mia città di continuare a fare insieme, di continuare ad avere il coraggio di rimettersi sempre in viaggio, perché la città è sempre l’esito di una grande impresa collettiva, auguro alla mia città di continuare ad essere una casa per tutti noi, perché c’è sempre una casa a cui tornare la sera, una famiglia, una comunità.
Auguro alla mia città di non dimenticare i più deboli ma di continuare ad immaginare un futuro migliore per i giovani, nostri figli, per i nostri nipoti, perché di una cosa sono convinto, siamo sempre stati capaci di realizzare i nostri sogni”.