Tanta gente ha partecipato nei giorni scorsi all’evento “Dei diritti e delle pene”, organizzato dal movimento paneuropeo Volt insieme a diversi rappresentati delle istituzioni e delle associazioni vicine al tema.
L’obiettivo: portare alla luce il quadro delle condizioni in cui versano le carceri nella nostra regione e lanciare un appello per l’istituzione di un tavolo di lavoro allargato sul sistema penitenziario. Il panel è partito dal commento dell’episodio di violenza istituzionale documentato proprio nel carcere di Reggio Emilia lo scorso 3 aprile 2023, che ha visto coinvolti 10 poliziotti penitenziari.
Ha moderato l’incontro Silvia Panini, attivista di Volt Italia e ideatrice del podcast “Modena People” sulle esperienze di persone dentro e attorno al carcere di Modena: “L’idea di questo evento nasce la sera in cui, fuori con amici, ho visto il video del pestaggio nel carcere di Reggio ai danni di un detenuto. Ho contattato subito l’avvocato Sebastiani e ci siamo detti che dovevamo fare qualcosa”. L’Avvocato Luca Sebastiani, Camera Penale di Bologna – Osservatorio Diritti umani, carcere ed altri luoghi di privazione della libertà – , che assiste il detenuto vittima dei maltrattamenti, ha commentato: “In questo caso la denuncia è stata presentata in maniera tempestiva, ma in altri casi questo non avviene perché le telecamere non ci sono – anche se dovrebbero esserci – o non funzionano”, continua, “Quello che è successo a Reggio è una sconfitta: senza le telecamere oggi la storia sarebbe stata diversa, anzi, magari avremmo fra le mani solo un’accusa di resistenza a pubblico ufficiale”. Poi la constatazione di “un mancata indignazione da parte di Reggio Emilia” su quanto avvenuto.
Interviene così il Garante dei Diritti delle persone detenute in Emilia- Romagna, Roberto Cavalieri: “Due cose colpiscono del video del pestaggio di Reggio: la prima è la federa sulla testa del detenuto, la seconda è l’ufficiale con le mani ferme, che non colpisce, ma che nemmeno dà l’ordine di fermarsi.
L’impressione è che non sia la prima volta che succede.”, e ancora, “Ci sono molti detenuti che non hanno un legale. Sono soli a cercare di dimostrare la loro verità contro il mostro amministrativo che è l’istituzione penitenziaria, che ti controlla ed è molto più forte di te”.
La situazione critica che permea le carceri emiliano-romagnole viene raccontata anche dalle portavoce dell’associazione Antigone, che si occupa di diritti all’interno del sistema penale. Giulia Fabini, Presidente di Antigone Emilia-Romagna, racconta: “Nella nostra regione il sovraffollamento raggiunge il 120%, un po’ più alto della media nazionale; a Bologna tocca una punta del 163%. Questo porta a una diminuzione del numero e della qualità dei servizi per le persone ristrette.” Tuttavia, sottolinea Fabini, “Non è sufficiente parlare di sovraffollamento. Episodi di autolesionismo e suicidi non dipendono solo dal sovraffollamento, ma anche da dove e come si sta in carcere”. Continua il preoccupante resoconto delle criticità del carcere di Reggio anche Mariachiara Gentile, Osservatrice Antigone Emilia-Romagna: “Negli ultimi due anni, come Antigone abbiamo visto un peggioramento allarmante delle condizioni nel carcere di Reggio. Parliamo di problemi strutturali (come problemi di infiltrazione persistenti), sovraffollamento (su 290 posti disponibili, a Reggio ci sono 370 persone detenute) e un trattamento delle sezioni femminile e per le persone transgender molto carente rispetto a quelle maschili.”
Federico Alessandro Amico, Presidente della Commissione assembleare Parità e Diritti della Regione Emilia-Romagna, in relazione al sovraffollamento cronico delle carceri, ricorda: “Spesso molte persone che potrebbero usufruire di pene alternative non hanno un domicilio in cui passare questo tempo, quindi per forza rimangono ristretti.”. Lo colpisce in particolare un fatto: “Dopo che il video del pestaggio è stato pubblicato online, a Reggio non è emersa nessuna indignazione rilevante. C’è molta rabbia per un presunto spacciatore in zona stazione, ma quando sono le istituzioni a commettere pratiche violente ed illegali non c’è alcuno sdegno”.
Per Giuditta Pini, ex-deputata e parte della Direzione Nazionale Partito Democratico, il problema è legato a doppio filo, perché spesso di carcere non se ne riesce nemmeno a parlare: “A Modena ancora non si parla di quello che è successo nel 2020. Quando si prova a parlare di telecamere e numeri identificativi per la polizia, la narrazione usata dalla destra è che si voglia impedire alla polizia di fare il proprio lavoro, la stessa narrazione che ora sta venendo usata per provare ad abolire il reato di tortura – ma anche a sinistra c’è un certo timore a parlarne”, continua Pini, “In questo modo, però, si normalizza il coprirsi a vicenda, perché si sa che non ci saranno conseguenze, e si dà l’impressione che gli abusi siano fattibili, perché tanto nessuno ne parlerà”.
Emerso come spunto durante la discussione, Panini conclude l’incontro aprendo alla possibilità di creare un tavolo a livello regionale con tutte le parti coinvolte – istituzioni, associazioni e società civile – per ripensare e ridisegnare insieme il sistema penitenziario, rimettendo al centro politiche di welfare sociale che affrontino i problemi strutturali del carcere, incluso un efficace reinserimento sociale dopo la detenzione, affinché l’anima ri- educativa del carcere non rimanga solo sulla carta.