Prendersi cura l’uno dell’altro e abbracciare la sofferenza di chi ci è vicino migliora la qualità di vita delle persone e aumenta la coesione sociale. Le Colline matildiche, in provincia di Reggio Emilia, sono lo scenario dove sta nascendo la prima “compassionate community” in Italia. È l’obiettivo del progetto “InVITA! Percorsi e azioni per la creazione di Caring Communities”, promosso dal Centro Servizi per il Volontariato di Reggio Emilia con il sostegno dei fondi 8xmille dell’Unione Buddhista Italiana e in rete con associazioni, Unioni di Comuni e l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia.

Le compassionate communities sono un nuovo modello di cura, un laboratorio sociale che coinvolge tutta la comunità, creando reti di supporto che affiancano chi deve convivere, nell’ultima parte della propria vita (non necessariamente di breve durata), con una malattia oncologica, neuro-degenerativa o con altre forme di vulnerabilità tipiche della vecchiaia avanzata. La compassionate community si basa sulla com-passione (il farsi prossimo in una situazione di sofferenza) e trova in sé risorse e competenze, dalle professionalità specifiche all’empatia.

In Provincia di Reggio Emilia, dopo un’approfondita ricerca preliminare su bisogni e risorse della comunità, sarà sperimentato un network tra amministrazione, sanità, realtà del Terzo settore e cittadini. Il progetto prevede la figura di un facilitatore, detto connector, formato per lavorare sui bisogni emersi nelle famiglie coinvolte (bisogni informativi e culturali, consapevolezza su tutele e diritti nel fine vita, compagnia e specifici interventi socio-sanitari) e attivare le risorse sul territorio, quali professionisti della sanità e caregiver ma anche reti informali, come amici, vicini di casa, colleghi, volontari.

Il movimento delle compassionate communities è nato negli anni 2000 nel Kerala, in India e mira a costruire reti di sostegno di “community based caregiving” che promuovano una qualità di vita migliore per tutti all’interno della comunità, rafforzino la coesione sociale e rendano anche più efficienti le prestazioni socio-sanitarie, diminuendo ad esempio gli interventi medicali, gli accessi al pronto soccorso e i relativi costi.

Spiega la dottoressa Silvia Tanzi, Responsabile Unità di Cure Palliative AUSL IRCCS Reggio Emilia e responsabile scientifica del progetto: “Il progetto si chiama ‘InVITA!’ perché vuole parlare di vita e non di morte, ovvero valorizzare la vita quando ancora c’è. L’obiettivo a breve è far partire la sperimentazione su alcune famiglie e lanciare una call per i cittadini che possono diventare caring helper. Il modello scientifico è stato validato nell’ambito del Congresso Mondiale delle Cure Palliative (Helsinki, 2025), ma il lavoro è anche sociale e culturale, perché la morte è ancora un tabù, sia per i cittadini sia per i professionisti e va riportata all’interno del discorso pubblico, a partire dalle scuole”.

Il progetto porterà anche la stesura di un “Manifesto dei Diritti alla Vita fino alla fine”, di cui Silvia Bertolotti del CSV, coordinatrice del progetto, anticipa alcuni punti chiave: “La promozione del diritto ad autodeterminarsi delle persone in situazioni di vulnerabilità, il diritto a una corretta informazione sui trattamenti sanitari ma anche su Dat – Disposizioni anticipate di trattamento, testamento, matrimonio come tutela e amministrazione di sostegno, e i diritti dei caregiver. E non ultimo il diritto a un’alfabetizzazione sul tema del lutto e sulla morte che porti a una nuova postura emotiva collettiva”.

Il 10, 11 e 12 ottobre alle Officine Creative Reggiane-Ex Mangimificio Caffarri (Via Flavio Gioia 4 – Reggio Emilia) si tiene “InVITA vorrei”, evento di lancio del progetto. Un fitto programma di appuntamenti, tra cui venerdì 10 ottobre, dalle 15, è previsto l’incontro con decisori pubblici, operatori socio-sanitari e giornalisti. L’11 e il 12 ottobre, debutta “Una specie di preghiera”, spettacolo teatrale della Compagnia MaMiMò.