L’ex Procuratore Capo di Reggio Emilia Marco Mescolini oggi svolge le funzioni di Sostituto Procuratore a Firenze a seguito di un trasferimento d’ufficio deciso dal Csm il 24 febbraio 2021 dopo aver giudicato incompatibile la sua presenza a Reggio Emilia e negli uffici giudiziari dell’intera regione Emilia-Romagna.

Decisione confermata dal Tar del Lazio che aveva annullato il ricorso di Mescolini, fino al secondo e ultimo grado (cioè il Consiglio di Stato) che ha nuovamente ribaltato il risultato in una Sentenza di trenta pagine pronunciata i Camera di Consiglio nel maggio scorso e resa pubblica l’11 gennaio 2024. “Il ricorso dev’essere accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, salve le ulteriori disposizioni dell’organo di autogoverno”, ovvero del Csm.

Il dispositivo permette ora a Mescolini un reintegro con pari qualifica, cioè come procuratore, sebbene lo stesso pare non sia interessato a tornare a Reggio Emilia.

All’origine del trasferimento fu un esposto presentato da quattro pm reggiane -Isabella Chiesi, Maria Rita Pantani, Valentina Salvi e Giulia Stignani- a seguito della pubblicazione delle chat fra Mescolini e l’allora consigliere del Csm Luca Palamara, nelle quali emergeva l’interessamento circa la sua nomina a procuratore capo di Reggio. Per le quattro pm, non vi erano più le condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria a causa della asserita perdita di credibilità e autorevolezza della Procura”.

Il trasferimento di Mescolini deciso dal Csm poggiava sul fatto che “le preoccupazioni della gran parte dell’ufficio” fossero un “indice sintomatico di criticità ambientale” che non poteva essere trascurato. Anche questa affermazione però non può essere condivisa, secondo il Consiglio di Stato, visto che “solo quattro su nove magistrati della Procura hanno espresso critiche all’operato del Procuratore” e alcuni non sono stati neppure ascoltati.

Secondo i magistrati del Consiglio di Stato le “illazioni” a carico di Mescolini sono state lette come fatti certi, “l’incompletezza del quadro istruttorio” è risultata evidente, sui presunti rapporti privilegiati con una parte politica “non v’è traccia di elementi probatori tali da dimostrare l’esistenza di una simile diffusa convinzione al di fuori dell’ambiente giudiziario”. Con l’aggravante che tale tesi, fatta propria dal Csm, “viene a dipendere in modo quasi esclusivo e certo sproporzionato dalle asserzioni di un esponente politico la cui credibilità avrebbe dovuto essere meglio verificata”, tenuto conto del fatto che era stato inquisito dallo stesso Mescolini nel processo Aemilia e che “aveva quindi con ogni verosimiglianza ragioni di risentimento nei suoi confronti”.

Il riferimento è all’ex presidente del Consiglio Comunale di Parma Giovanni Paolo Bernini, il cui nome emerge nell’inchiesta Aemilia perché un uomo di punta della ‘ndrangheta operante al nord -Romolo Villirillo-, parla con lui nelle intercettazioni telefoniche che la Dda di Catanzaro trasmise a Bologna nel 2011. Personaggio che non esce dal processo Aemilia “assolto”, come più volte affermato dallo stesso Bernini, ma “prosciolto” per decorrenza dei termini.

Per il Consiglio di Stato il Csm avrebbe ignorato anche sé stesso, considerato che “il Piano organizzativo della Procura redatto da Mescolini è stato approvato dal Plenum del Csm in data 18 novembre 2020 anche con passaggi lusinghieri, di tal ché risulterebbe palesemente contraddittoria l’indicazione, ai fini del trasferimento, di elementi relativi alla disorganizzazione dell’ufficio”.

Infine, la Sentenza sancisce che “L’amministrazione pubblica è obbligata ad accertare d’ufficio la corrispondenza al vero dei fatti posti alla sua attenzione, così da adeguarsi al canone costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, e quindi all’esigenza che l’istruttoria che precede l’adozione dell’atto finale sia quanto più possibile esaustiva e rappresentativa della realtà”. Cosa che non sarebbe avvenuta, per cui “viene accolto il ricorso presentato da Mescolini e vengono annullati i provvedimenti dallo stesso impugnati, salvo le ulteriori determinazioni del Csm”.

Ciò significa che ora la palla torna al Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà ragionare sulla sentenza e decidere cosa fare.