Donelli Vini Spa, in persona del presidente del consiglio di amministrazione Giovanni Giacobazzi, soccombe in Cassazione contro la causa intentata circa dieci anni fa dai fratelli Simone e Matteo Scaglietti (nipoti di Sergio Scaglietti) insieme alla Scaglietti SRL.
Per gli eredi di Sergio Scaglietti, famoso designer d’automobili celebre per avere firmato le più iconiche e preziose Ferrari, tra le quali per citarne alcune la 250 Testa Rossa, la 250 GT California, la 250 GTO la Donelli non poteva assolutamente utilizzare il nome del nonno per vestire pregiate bottiglie di vino lambrusco. La diatriba nacque da uno scritto del 1 luglio 2007 attribuito a Sergio Scaglietti e che i vertici dell’azienda vinicolo utilizzarono per dar vita a una specifica linea di vini messa in produzione nel 2008.
A quell’epoca i nipoti, con il beneplacito del nonno, avevano già registrato a livello nazionale e internazionale il marchio “Scaglietti” per svariati prodotti, in particolare cosmetici e profumeria, tra cui anche fragranze olfattive al vino, ma anche per prodotti alcolici per i quali è impiegato per contraddistinguere vini DOP quali il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro ed il Pignoletto.
Nel 2011 Sergio Scaglietti scompare all’età di 91 anni e l’azienda Donelli commercializzerà il suo più pregiato lambrusco (oltre che vino analcolico) utilizzando il nome e l’immagine del noto designer.
I nipoti di Scaglietti convocarono in Tribunale la Donelli per far valere i propri diritti.
Dopo il primo round in Tribunale, la Corte d’Appello di Bologna, pur riscontrando la liceità dei marchi registrati dei nipoti del noto designer e quindi la nullità della domanda di registrazione del marchio “Sergio Scaglietti” da parte della resistente Donelli, non aveva imposto a quest’ultima il divieto di potere ugualmente utilizzare il nome celebre, Sentenza a cui gli eredi Scaglietti si opposero rivolgendosi agli ermellini per un nuovo e definitivo giudizio.
A Roma il recente colpo di scena: con Sentenza R.G.N. 22479/2020 pubblicata il 7 agosto 2023 i Giudici della Cassazione hanno illustrato dettagliatamente in dodici pagine le ragioni per le quali danno ragione ai nipoti Scaglietti. Con tale dispositivo infatti la Cassazione “accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità”.
La Corte d’Appello di Bologna aveva cassato il primo motivo di ricorso censurando la sentenza impugnata di primo grado nella parte in cui escludeva la nullità della scrittura privata del 1° luglio 2007 per indeterminatezza dell’oggetto, nonostante la mancata indicazione del corrispettivo e dei criteri per determinarlo.
Per la Cassazione invece “Lo Scaglietti aveva prestato il proprio assenso «definitivo e incondizionato» all’uso del proprio nome per contraddistinguere le bottiglie della Donelli Vini, contro l’impegno di quest’ultima a provvedere alla «fornitura perenne, ogni anno solare, a partire dal corrente 2008», di un quantitativo di bottiglie di vino il cui numero era rimasto imprecisato, avendo le parti lasciato in bianco lo spazio specificamente destinato alla relativa indicazione.
Tale omissione, in caso di qualificazione della fattispecie come licenza d’uso, non avrebbe potuto essere considerata ininfluente ai fini della validità del contratto, incidendo sull’individuazione della prestazione dovuta dalla controricorrente, la cui indeterminatezza era destinata ad assumere un rilievo ben diverso, a seconda che la concessione fosse stata considerata a titolo gratuito o a titolo oneroso: nella prima ipotesi, infatti, la fornitura delle bottiglie di vino si sarebbe venuta a configurare come un mero onere imposto alla beneficiaria della concessione, e sarebbe quindi rimasta estranea all’oggetto del contratto, configurandosi come un elemento accidentale ed accessorio, la cui mancata determinazione non avrebbe potuto determinarne la nullità; nella seconda ipotesi, invece, trattandosi della prestazione dovuta dalla Donelli Vini a titolo di corrispettivo per l’uso dei diritti sulle bottiglie, la sua indeterminatezza e indeterminabilità si sarebbe inevitabilmente ripercossa sulla validità del contratto, ai sensi dello art. 1346, secondo comma, cod. civ., ai fini della quale non avrebbe potuto assumere alcun rilievo l’astratta possibilità che il contratto fosse concluso, in alternativa, a titolo gratuito.
In quest’ottica, l’esclusione della nullità del contratto avrebbe richiesto che la Corte d’appello procedesse preliminarmente alla ricostruzione della comune intenzione delle parti, al fine di verificare se lo Scaglietti avesse inteso o meno concedere gratuitamente l’uso dei propri diritti alla Donelli Vini”.
Gli eredi Scaglietti sono pertanto ora in condizioni di poter ricorrere di nuovo al giudice di secondo grato affinchè riscriva la sentenza d’Appello conformandosi alle direttive del Giudice di Cassazione.
“Stiamo valutando la richiesta di risarcimento -ha dichiarato Simone Scaglietti a Reggio Focus-, non solo per quanto riguarda tutte le spese sostenute ad oggi, ma anche circa i fatturati generati dalla vendita delle bottiglie in tutti questi anni attraverso l’utilizzo del marchio “Sergio Scaglietti”, oltre che il ritiro immediato di tutte le bottiglie dal mercato e la distruzione delle stesse”.
Non è possibile una soluzione conciliativa pensando all’amicizia che intercorreva fra il nonno e Giacobazzi? “Sì, certo -conclude Simone Scaglietti-, una conciliazione fuori dalle aule di Tribunali è auspicabile e la nostra parte l’abbiamo fatta, ma come ben sa, per ottenerla è necessario il volere di entrambi”.
Marina Bortolani