Il mondo dei libri vive spesso di mix che, partendo da singoli normalissimi elementi, determinano effetti tanto inaspettati quanto esplosivi. Ecco perciò la sorpresa che non ci si aspetta. Una ragazza giovanissima, reggiana al punto di poterla considerare della porta accanto, un’opera prima che, in quanto tale, porta con sé tutta l’energia che l’autore può esprimere.
Nasce così la scoperta di “Va tutto bene” prima fatica letteraria della 24enne Sara Gariselli. Solo due cose per dare un senso a questa opera che tratta di ciò che prova una persona nella difficoltà, nella malattia, nel confronto doloroso con se stessa, nell’amore verso l’altro, verso la propria persona, come stile di vita.
La prima è una riga del commento di quarta di copertina “Questo libro parla di me, di ciò che sono stata, di ciò che sono e di ciò che la vita mi ha tolto e poi restituito, una lacrima alla volta. Dell’amore, che da sempre mi mantiene viva”. La seconda è una semplice constatazione.
Di norma di un buon libro si dice che tra le righe sia possibile percepire le emozioni. In questa opera invece, con uno stile insolito e particolare, Sara ha saputo escludere tutto il resto: ci sono solamente le emozioni che, in quanto tali, possono essere calate nella vita di chiunque. Ogni singolo pensiero potrebbe essere il titolo per un’opera nuova. E guai a pensare che questo sia un libro triste. Di certo profondo, indubbiamente da pugno nello stomaco, ma essenzialmente con al centro Amore e Vita. Per questo abbiamo intervistato l’autrice, affinché narrasse di sè.
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Sara, innanzitutto parlaci di te.
Mi reputo una ragazza estremamente semplice, genuina, senza troppi peli sulla lingua e con tantissime cose per la testa. Qualcuno a volte mi dice che dovrei riflettere due volte prima di parlare e che spesso il mio temperamento prende il sopravvento. Forse è vero, ma son fatta così!
Mi piace viaggiare, fare sport, ascoltare la musica e andare ai concerti. Adoro le piccole cose: sono proprio quelle che ho imparato ad apprezzare più di ogni altra cosa.
Mi piace stare con me stessa, a volte ne sento proprio la necessità. Ma adoro anche avere una vita piena, fare le mie cose e circondami delle mie persone. La mia famiglia, a cui devo tutto, è la cosa che di più caro ho al mondo”.

Poi un giorno hai iniziato a scrivere, fino alla stesura di un’opera tutta tua… Quando è stato l’inizio?
L’immagine di mio padre che torna a casa la sera con quadernoni immensi, libroni di pagine tutte bianche. Fogli e fogli da riempire. Me li portava apposta, e io (avrò davvero avuto sì e no 7 anni) scrivevo, ogni cosa. Nel cassetto ho ancora un paio di questi quaderni grandissimi pieni di mie storie. Mi divertivo a scrivere storielle inventate, di animaletti buffi, di personaggi e mondi fantastici. Semplicemente, scrivevo, inventando scenari e racconti immaginari.
Non ho mai scritto pensando “devo scrivere”, ma dicendomi “ne ho bisogno”. Il mio libro è nato così.

A un certo punto hai deciso di intraprendere un’avventura letteraria…
Il mio libro inizia così: “scrivo del mio cuore perché ne ho bisogno”. L’ho sempre fatto per me, come valvola di sfogo. Scrivere è sempre stata una necessità, una conseguenza alle mie emozioni a volte difficili da gestire.

Cosa significa per te questo libro?
Questo libro è stata la mia occasione di far pace con me stessa. Di lasciar andare e di ritrovare. Ho avuto la possibilità di vedere realizzato il mio sogno più grande e di guardare in faccia le gioie e i dolori degli ultimi anni. Per me, questo lavoro è stato il mio modo di dirmi “ce l’hai fatta”, e di potermi riscoprire una persona nuova. Sempre io, ma cresciuta, più forte, più consapevole.
Se penso a tutto quanto, mi fa sorridere il fatto che tramite questo libro ho avuto la possibilità di sentire vicine tante persone, di ritrovare una serenità che pensavo lontana e di mettermi in gioco nella cosa più coraggiosa che potessi fare: accettare, e accogliere, i miei dolori. Ricordare l’amore, quello vero, senza volerlo dimenticare. Prendermi cura di me, liberandomi della paura di non farcela.
Questo libro significa tante cose, ma prima di tutto rappresenta il mio cuore, e il mio coraggio di voler vivere intensamente, nonostante tutto.

Quali sono i contenuti più importanti?
Nel mio libro parlo di amore, di me, di una malattia, l’anoressia, che purtroppo troppe persone vivono ogni giorno, dell’importanza di ascoltarsi, di imparare a farlo senza giudicarsi e al di là della paura. Parlo di come sia tremendamente difficile, per me, gestire il mio essere così tanto emotiva, delle paure che ho dovuto assorbire per imparare a superarle.
Parlo di me stessa, del mio dolore, del viaggio che ho fatto all’interno di me e della forza che mi è servita per affrontarlo. Una forza che sicuramente, almeno inizialmente, non sono riuscita a darmi io.

Chi ti ha dato questa forza?
La mia famiglia: è stata la mia ancora di salvezza in ogni istante, ma devo ammettere che il mio ragazzo del tempo è stato una figura estremamente importante, fondamentale oserei dire, nel riuscire a farmi scattare in testa il pensiero del “ok. Devo guarire”.. non so se sia giusto o sbagliato, però inizialmente ammetto che l’incentivo maggiore che avevo era proprio il pensiero di quella relazione e di volerla “salvare”.
Ecco perchè il libro che ho scritto non è soltanto “mio”. Il merito di ciò che sono riuscita a tirar fuori da determinate esperienze è racchiuso anche in chi mi ha dato la forza di riprendermi la mia vita quando io da sola non riuscivo a convincermene.

A chi ti rivolgi?
Penso che i ragazzi della mia età possano immedesimarsi abbastanza facilmente, dal momento che, purtroppo o per fortuna, parlo di cose estremamente attuali per la mia generazione. Nulla toglie al fatto che magari anche qualche lettore più grandicello possa leggere le mie pagine e chissà, ricordarsi di un amore passato o di un momento particolare della propria vita. Parlo di cose “semplici” da quel punto di vista, nel senso che ognuno, almeno una volta nella propria vita, ha vissuto o può aver vissuto almeno un po’ di quel che ho raccontato.

Quanto è stato difficile aprirsi e narrarsi?
La parte difficile è stata riuscire ad aprirmi con gli altri. Questo lavoro racchiude gli ultimi quattro anni della mia vita. La decisione di voler pubblicare e rendere pubblico il mio lavoro è stata un’enorme conseguenza dell’altrettanto enorme crescita che ho fatto in questo ultimo anno e mezzo.
Ho dovuto affrontare circostanze che mi hanno portata ad allontanarmi da qualsiasi cosa, da me stessa in primis ma che, quasi paradossalmente, alla fine sono state le uniche cose che mi hanno permesso davvero di scavare a fondo e intraprendere un grandissimo percorso di auto-consapevolezza.
Sono cresciuta tanto, ho imparato (e sto ancora imparando) a vivere e affrontare determinati demoni nel modo meno “nocivo” possibile, e a guardare alle mie ferite e paure senza giudizi. Quindi, liberandomi.

Prevedi altri progetti editoriali in futuro?
Beh, io scrivo, come ho sempre fatto…poi chissà! Magari continuando a scrivere salterà fuori qualcosa di nuovo. E ad oggi, me lo auguro davvero. Tante persone, anche chi magari non sentivo da anni, si sono prese un secondo per scrivermi e farmi i complimenti, facendomi sapere che ammirano ciò che ho fatto, perché bisogna essere coraggiosi ad affrontare, e mostrare le proprie paure e debolezze. Debolezze che però, ripeto, per me oggi non sono più soltanto debolezze in quanto tali, ma, piuttosto, ciò che in realtà mi ha salvata da me stessa nel momento più tremendo. Mi hanno permesso di conoscermi e non avere paura delle mie paure. Sono il mio più grande orgoglio.

Cos’è stata per te l’anoressia?
Difficile dire cosa sia stata per me questa malattia. È un qualcosa di silenzioso, di invadente nel suo sussurrare. Forse potrei definirla proprio così: l’anoressia è quella vocina in testa che ti convince di non essere all’altezza della tua vita. Quella voce silenziosa che, ogni giorno, nel suo silenzio, ti invade. E poi non se ne va più.
Questa malattia mi ha annientata per molto tempo, allontanandomi dal mondo e da me stessa. Quando cerco di parlarne, dico sempre di avere dei veri e propri vuoti di memoria. È triste, sì, ma alcuni momenti della mia vita non me li ricordo. Ricordo soltanto il modo in cui mi sentivo, l’angoscia che silenziosamente mi invadeva e che poi, alla fine, mi ha sradicata dalla realtà. Per tanto tempo mi sono sentita persa dentro la mia stessa mente, incapace di capire cosa stesse succedendo. Era totalizzante, difficile da spiegare. Cresce piano piano e ti ci trovi dentro ancor prima di rendertene conto.
Uscirne poi, anche se ancora non mi sento di dire di essere guarita al 100% (ma siamo sulla buona strada) è forse la cosa più tremenda che io abbia mai dovuto affrontare in vita mia. Non ci girerò intorno, è stato devastante. Terribile. Un dolore così grande che ancora faccio fatica a capacitarmene, davvero.

Una malattia che ha “sradicato” te stessa…
Esatto, e l’ha fatto nel modo più crudele che possa esistere, privandomi dei miei stessi pensieri. Della mia carne. Del mio cuore. Mi ha portato via tutto, allontanandomi dalle persone che amo e da me stessa.
È stato terribile, angosciante, ma nonostante tutto, ad oggi, questo viaggio che ho dovuto affrontare è, senza nessun dubbio, la cosa di cui vado più fiera e che mi ha permesso di guardare a me stessa con occhi totalmente nuovi. La cosa che, privandomi di me stessa, mi ha fatto ritrovare i miei sogni proprio lì, tra le mie paure più grandi.
Non dirò mai che questa malattia mi ha privata della persona che sono, perché in realtà, è proprio a questa malattia che devo la persona che sono.
Ad oggi sono fiera di me, e di quelle debolezze che mi hanno resa invincibile.

Quale messaggio ti senti di dare a chi sta affrontando l’anoressia?
A chiunque si trovi in questa situazione auguro di avere il coraggio di reagire, consapevoli però che non ci sarà mai, mai, un momento in cui ci si sentirà pronti. Esiste solo il momento in cui si guarda in faccia la realtà, scavando nella profondità dei propri tormenti e, con coraggio, si sceglie di risalire.
Guarire è una scelta, nient’altro. Nessun amore, nessuna parola, nessun gesto d’affetto, nessuna presenza, potrà mai salvarvi se non siete voi a dirvi “voglio guarire”. Ecco dove sta oggi la mia forza.

Quanto è stato importante “liberarti”?
Molto. Nel liberarmi ho anche accettato ciò che è stato, accettando l’idea che anche gli altri potessero farlo, e prendervi parte in una qualche misura, leggendo, immedesimandosi, sfogliando semplicemente le pagine di una storia sentita e risentita, provando qualsiasi tipo di emozione possibile. Perché è proprio questo che ho imparato e che vorrei riuscire a trasmettere con il mio libro: non bisogna avere paura delle proprie emozioni e delle proprie sensibilità.

Eugenio Pattacini