Venerdì 1 marzo, alle ore 19.30 presso i Chiostri di San Pietro in città, si svolgerà la presentazione del volume “MI HAI ROTTO IL CACTUS” , Educate provocazioni artistiche di SERGIO RABITTI. Intervista l’artista la Giornalista Avv. Marina Bortolani
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Se si ha l’occasione, in questo caso fortunata occasione, di entrare in contatto con la produzione artistica di Sergio Rabitti l’interpretazione della sua poetica appare, al primo superficiale colpo d’occhio, immediata: ci troviamo di fronte ad uno di quegli artisti che hanno fatto della semplicità il loro credo espressivo.
Nel territorio reggiano, patria di Ligabue e Zavattini, la definizione “naïf ” viene quasi naturalmente scontata. Niente di più errato. Un’osservazione più meditata ci porta ad altre valutazioni, in altri territori, in un mondo che è “realisticamente fantastico”. Per poter penetrare in esso, è assolutamente necessario conoscere Sergio Rabitti.

Bisogna parlare con lui, confrontarsi con il suo “stile di vita” che è diretta conseguenza della sua visione del mondo, della realtà, dei rapporti umani. In parole povere, il suo operare artistico non è scindibile dal suo essere uomo.

La pittura di Sergio, apparentemente semplice, fatta di colori accesi e di nette campiture, non è quindi il risultato di chi poco mastica il mestiere del dipingere, ma una precisa scelta temperamentale ed artistica di chi, nel tempo, ha privilegiato la sostanza alle raffinatezze estenuate della stesura pittorica.
Sergio stesso confessa che agli inizi, nei primi tempi, il dipingere fosse per lui un piacevole hobby, un proficuo passatempo e che quindi fosse molto più attento all’uso della tecnica. Poi, tutto si è rovesciato e l’urgenza, il bisogno, l’impellente necessità di comunicare il suo “sentire” ha fatto sì che l’arte lo assorbisse completamente.

È già stato scritto da Vittorio Severi “Sergio Rabitti ha incontrato sulla sua terra l’Arte (con la A maiuscola) e così come alcuni incontrano ad un certo punto della vita la religione, lui si è lasciato completamente coinvolgere, votandosi a questo nuovo mondo con una passione, una energia, una vitalità che senza questa ispirazione, forse mai avrebbe dedicato alle ordinarie attività”.
I suoi temi ispirativi sono diversi, eterogenici, quasi sempre spiazzanti, anarchici, privi di volgarità ed educatamente provocatori, sono tutti espressi con un benevolo sorriso con un’ironia ingenua che tende a stupire ed a stupirsi di se stessa.
È questa ironia, è questo sguardo stupito da Peter Pan che dall’alto guarda la sua “Isola che non c’è”, che ci forniscono la chiave per penetrare nel mondo di Sergio. Anzi; quello delle opere artistiche di Sergio non è un ideale mondo visto dall’alto con distaccata partecipazione, è quello quotidiano che ci troviamo a vivere tutti i giorni rappresentato con un onirico stupore che lo trasforma in una dimensione fiabesca.

Sergio è per sua vocazione naturale e per consapevole sua scelta un contemporaneo e disincantato Peter Pan che con le sue “educate provocazioni” ci fa cogliere le ambiguità, le contraddizioni, i luoghi comuni che, volenti e nolenti, condizionano la nostra percezione della realtà. I suoi occhi, spesso sorridenti e sornioni simili a quelli del gatto di “Alice nel paese delle meraviglie”, colgono quelle sfumature quei paradossi che noi troppo presi dalla necessità del fare, del lavorare, del brigare ed anche dell’apparire, non abbiamo più la voglia, la capacità del cogliere.

Sergio attraverso la sua pittura non ha paura di essere se stesso e non teme di mostrarti per quello che è; un benevolo folletto conscio che la capacità di stupirsi, di fantasticare, di meravigliarsi sia probabilmente la chiave più sicura per aprire la porta della comprensione di tutto ciò che ci circonda. La tradizione culturale emiliana, sia nelle massime espressioni letterarie e pittoriche sia in quelle più popolari e comuni, è percorsa da un fiume carsico, profondo che a volte emerge prepotentemente in superficie e che la critica identifica con la categoria del “realismo fantastico o magico”.
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Sergio Rabitti è nato a Reggio Emilia e si avvicina alla pittura nel 1993. Capisce che per lui è necessario un corso di pittura e lo inizia sotto la guida del prof. Giuseppe Incerti. Conosce poi e segue, il pittore Paolo Menozzi esperto di pittura plein air. Dopo un periodo di apprendimento, personalizza il suo stile.
Per la sua formazione segue corsi di scultura tenuti da Caterina Coluccio, di ritratto e di nudo con il prof. Emilio Contini, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Per anni ha partecipato alle attività del Circolo degli artisti. È stato per lungo tempo amico ed allievo del padre Servita Fiorenzo Maria Gobbo diplomato all’Accademia fiorentina i cui affreschi si possono ammirare nel convento della Ghiara.