Gli avvocati Rossella Ognibene e Oliviero Mazza. In altro a sinistra la pm Valentina Salvi

L’Unione delle Camere Penali Italiane esprime grave preoccupazione per l’iniziativa giudiziaria della Procura della Repubblica di Reggio Emilia, che ha denunciato per calunnia nei confronti di una sua sostituta, l’avvocata Rossella Ognibene e l’avvocato Oliviero Mazza, difensori impegnati nel processo noto come “Angeli e Demoni”.

I difensori, in udienza, hanno eccepito l’incompatibilità alla testimonianza delle consulenti tecniche del Pubblico Ministero, rappresentando il fatto storico incontrovertibile che le due psicologhe avevano partecipato all’assunzione di sommarie informazioni testimoniali prima di essere nominate consulenti tecnici. Sempre secondo i difensori, le due professioniste avrebbero partecipato agli atti di indagine in qualità di ausiliari del pubblico ministero, come tali incompatibili alla successiva testimonianza tecnica ex art. 197 lett. d) c.p.p., essendo, quella di consulente e di ausiliario, le uniche due possibili qualifiche processuali idonee a consentirne la partecipazione.

Per avvalorare l’eccezione, i difensori hanno usato anche l’argomento per assurdo in questi termini: se non si volesse riconoscere alle psicologhe il ruolo di ausiliarie nell’assunzione delle sommarie informazioni, non essendo state ancora nominate consulenti al momento del compimento dell’atto, bisognerebbe riconoscere che non avessero titolo per partecipare ad una attività di indagine segreta, e dunque si sarebbe realizzata una violazione del segreto d’ufficio.
L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia ha semplicemente escluso l’incompatibilità ex art. 197 lett. d) c.p.p. sulla base di un diverso orientamento giurisprudenziale, ribadendo l’oggettiva veridicità dei fatti posti a base dell’eccezione, ossia che le psicologhe hanno partecipato all’assunzione delle sommarie informazioni prima della loro nomina a consulenti tecnici.

A rendere ancora più grave la vicenda, è la circostanza che l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dei difensori – contenente l’addebito per calunnia – sia stato notificato in coincidenza con l’inizio delle arringhe difensive in dibattimento, malgrado i fatti in questione siano avvenuti a luglio dello scorso anno. Una tempistica tale da apparire oggettivamente idonea a generare un effetto dissuasivo, se non addirittura intimidatorio, rispetto all’esercizio della funzione difensiva.
Attraverso tale improvvida iniziativa si è inciso sulla libertà e pienezza del mandato difensivo, baluardo irrinunciabile dello Stato di diritto, diritto inviolabile e principio supremo dell’ordinamento, come riconosciuto più volte dalla Corte costituzionale.
L’Unione delle Camere Penali Italiane stigmatizza con assoluta fermezza il fatto che una questione procedurale sollevata nella dialettica dell’aula, fondata su precise risultanze documentali e processuali, possa essere trasformata in oggetto di denuncia. Il solo fatto di porre una questione tecnico-processuale – elemento fisiologico del contraddittorio e della funzione difensiva – non può e non deve comportare minacce di esposti o procedimenti penali. Simili iniziative, peraltro non nuove anche in questo processo, sono del tutto incompatibili con l’esercizio libero e indipendente della professione forense in un ordinamento democratico e minano il diritto ad un giusto processo e quindi l’essenza stessa dello Stato di diritto.

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane con l’Osservatorio Avvocati Minacciati richiama con forza l’attenzione di tutte e tutti sul grave vulnus che simili iniziative determinano sul piano sistemico, proprio a pochi giorni dalla firma da parte dell’Italia della nuova Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione della professione legale. Tale strumento, che a differenza di analoghe dichiarazioni di principio adottate anche in seno alle Nazioni Unite, è vincolante per gli Stati firmatari e prevede, all’articolo 6, che gli avvocati non possano subire conseguenze negative per le dichiarazioni rese in buona fede nell’esercizio della difesa; all’articolo 7 garantisce la libertà di espressione degli avvocati nell’ambito del procedimento; e all’articolo 9 impone agli Stati l’adozione di misure protettive contro ogni forma di minaccia, intimidazione o indebita interferenza nell’esercizio della professione.

La Giunta dell’UCPI chiama le istituzioni e le autorità giudiziarie a conformare ogni comportamento a tali principi – anche nell’ambito del fisiologico conflitto processuale – e al rispetto della libertà, dignità e inviolabilità della funzione difensiva, nella consapevolezza che attaccare la difesa significa indebolire la giustizia stessa e con essa lo Stato di diritto.

La Giunta
L’Osservatorio Avvocati minacciati